Il miglioramento della sopravvivenza dopo un infarto del miocardio con sovraslivellamento del tratto ST (STEMI) di circa il 20% negli ultimi vent’anni, con la diminuzione di complicanze quali lo shock cardiogeno e le aritmie fatali, è di solito attribuito alla maggiore accessibilità della terapia di riperfusione precoce e, quindi, a prescindere che il ricovero avvenga poi in un’unità di terapia intensiva o in un reparto generalista. Ciononostante, negli Stati Uniti il 75% dei pazienti con un infarto STEMI è ricoverato in terapia intensiva come peraltro le più recenti linee guida europee consigliano di fare. Uno studio retrospettivo statunitense di coorte, che ha coinvolto 1.727 ospedali e 109.375 pazienti, ha cercato di chiarire se il ricovero in terapia intensiva comporti una riduzione della mortalità a 30 giorni per tutti i casi di infarto STEMI. La mortalità era in effetti inferiore tra i pazienti ricoverati in unità coronarica rispetto a un reparto non intensivo (riduzione assoluta 6,1%).
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