L’ipotermia in caso di arresto cardiaco extraospedaliero non migliora la prognosi quoad vitam e quoad valetudinem rispetto alla normotermia. È la conclusione di uno studio controllato e randomizzato internazionale che ha confrontato i due approcci in 1.850 pazienti con arresto cardiaco fuori dall’ospedale. A distanza di sei mesi dall’evento era deceduto il 50% dei pazienti sottoposti a ipotermia rispetto al 48% dei pazienti in normotermia (rischio relativo: 1,04, limiti di confidenza al 95% da 0,94 a 1,14, p=0,37); tra i sopravvissuti aveva una disabilità da moderata a grave il 55% dei trattati indipendentemente dalla temperatura. L’ipotermia si associava a un maggior rischio di fenomeni aritmici importanti (24% rispetto a 17%, p<0,001).
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