LC n.143/2021 Nello scompenso cardiaco post infarto il ramipril aumenta la sopravvivenza?

INTERVENTO I sintomi dei pazienti con insufficienza cardiaca possono essere alleviati con diuretici, nitrati o digossina, ma la loro sopravvivenza a lungo termine è affidata a farmaci come ACE inibitori, betabloccanti, anti aldosteronci, sartani, inibitori del recettore dell’angiotensina e della neprilisina (sacubitril/valsartan), inibitori del co-trasportatore sodio-glucosio 2 (dapagliflozin) o inibitori del nodo sinusale (ivabradina), a seconda della conservazione della frazione d’eiezione. Gli ACE inibitori, in assenza di controindicazioni renali, sono utili nell’insufficienza cardiaca dopo infarto perché agiscono sui mediatori del sistema nervoso simpatico, della funzione endoteliale e del tono vascolare, con effetto di dilatazione arteriosa e venosa, riduzione della pressione di riempimento del ventricolo sinistro a riposo e, sotto sforzo, riduzione delle resistenze vascolari sistemiche e limitazione del rimodellamento ventricolare. Nel 1993, il ramo britannico dello studio multicentrico internazionale AIRE ha randomizzato in doppio cieco 603 pazienti di questo tipo a ramipril (5 mg due volte al giorno) o a placebo per circa un anno e ha verificato, a 15 mesi dalla randomizzazione, una riduzione del 5,7% della mortalità da tutte le cause nei trattati.
Il follow up è proseguito per circa 30 anni e ora ne vengono pubblicati i risultati.