La variante inglese di SARS-CoV-2, nota con la sigla B.1.1.7, quella che rapidamente ha preso piede, diventando il tipo dominante, anche in Italia, ha una maggiore contagiosità rispetto al ceppo originario ma non modifica le caratteristiche della malattia.
A questa conclusione è giunto uno studio britannico che ha analizzato i dati relativi all’infezione in 36.920 soggetti ammalatisi tra il 28 settembre e il 27 dicembre 2020.
I test hanno consentito di identificare quale era il ceppo virale in gioco in questi casi. È così emerso che la variante inglese non si accompagnava a sintomi diversi rispetto a quella originaria e che la durata degli stessi era analoga con entrambi i ceppi virali. Per quanto riguarda la possibilità di reinfettarsi in soggetti che già avevano avuto la malattia causata dal virus originario, non è stato rilevato un aumento di reinfezioni correlato al ceppo mutante quanto semplicemente un aumento di reinfezioni in quelle aree geografiche dove il virus in generale era più diffuso.
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