Una discreta percentuale dei pazienti che hanno avuto un arresto cardiaco al di fuori dell’ospedale è ancora viva e in buone condizioni neurologiche a distanza di anni dall’evento acuto grazie alla rapidità degli interventi posti in atto. Una revisione sistematica con metanalisi ha identificato 67 studi sull’argomento.
A distanza di un anno il 77,3% dei pazienti (limiti di confidenza al 95% da 71,2 a 82,4) era ancora vivo, a tre anni lo era il 69,6% (limiti di confidenza al 95% da 54,5 a 70,3), a cinque anni il 62,7% (limiti di confidenza al 95% da 54,5 a 70,3), a cinque anni il 46,5% (limiti di confidenza al 95% da 32,0 a 61,6), a dieci anni il 20,8% (limiti di confidenza al 95% da 7,8 a 44,9).
Nel confronto tra continenti la prognosi migliore l’avevano i pazienti trattati nei paesi occidentali, in Europa e Nord America, rispetto all’Asia (rischio relativo per la sopravvivenza a un anno rispettivamente 2,1 e 2,0), a dimostrazione di una maggiore efficienza nei soccorsi.
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