INTERVENTO Nel 10% dei casi di pazienti ospedalizzati per un infarto del miocardio e in attesa di essere sottoposti a una procedura di rivascolarizzazione si ha la comparsa di una grave complicanza, lo shock cardiogeno, che è gravato da una mortalità del 4050% a distanza di un mese.
In questa circostanza la pompa cardiaca risulta del tutto inadeguata alle necessità, si è perciò cercato di surrogarla nell’attesa che la riapertura delle coronarie interessate possa riportare la situazione circolatoria cardiaca alla normalità. Negli ultimi anni si è sempre più diffuso a tal fine il ricorso al cosiddetto supporto vitale extracorporeo (secondo l’acronimo inglese ECLS) cioè all’ossigenazione extracorporea veno-arteriosa a membrana senza però che ci siano prove di efficacia o di sicurezza tali da giustificare questo approccio.
Per questo motivo è stato condotto in Germania uno studio controllato e randomizzato che ha coinvolto 417 pazienti ricoverati con uno shock cardiogeno a seguito di un infarto del miocardio non ancora sottoposti a rivascolarizzazione.
RISULTATI A distanza di 30 giorni, la mortalità da tutte le cause era del 47,8% fra i trattati con ECLS rispetto al 49,0% dei trattati con la sola terapia medica usuale (rischio relativo: 0,98, limiti di confidenza al 95% da 0,80 a 1,19, p=0,81) e la durata media della ventilazione meccanica era di sette giorni rispetto ai cinque giorni del gruppo di controllo.
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