L’obiettivo del trattamento del disturbo depressivo maggiore è la completa remissione dei sintomi; una risposta parziale alla terapia è associata a un aumentato rischio di ricaduta. Il miglioramento dei sintomi può avvenire entro le prime due settimane di trattamento con una terapia antidepressiva, ma possono essere necessarie 4-8 settimane per riscontrare un beneficio sostanziale. Dopo un trattamento efficace per un primo episodio depressivo maggiore, la terapia antidepressiva deve proseguire al medesimo dosaggio per almeno 4-9 mesi al fine di consolidare la ripresa. Nei pazienti con episodi depressivi ricorrenti, la terapia di mantenimento a lungo termine può ridurre il rischio di ricaduta.1
Per il trattamento iniziale del disturbo depressivo maggiore viene generalmente usato un inibitore selettivo della ricaptazione della serotonina (SSRI). Gli inibitori della ricaptazione della serotonina e della noradrenalina (SNRI), il bupropione (Wellbutrin RM-GlaxoSmithKline e altri; disponibile anche come medicinale equivalente) e la mirtazapina (Remeron-MSD Italia e altri; disponibile anche come medicinale equivalente) rappresentano alternative ragionevoli.
SSRI – Non esistono prove convincenti sulla maggior efficacia di un SSRI rispetto a un altro per il trattamento del disturbo depressivo maggiore. La sertralina (Tatig-Pfizer; disponibile anche come medicinale equivalente) e l’escitalopram (Cipralex-Lundbeck Italia e altri; disponibile anche come medicinale equivalente) rappresentano opzioni adatte per il trattamento di prima linea negli adulti. La fluoxetina (Prozac-Eli Lilly e altri; disponibile anche come medicinale equivalente) è l’unico SSRI approvato dalla US Food and Drug Administration (FDA) per il trattamento del disturbo depressivo maggiore nei bambini. Sia la fluoxetina che l’escitalopram sono approvati nel trattamento del disturbo depressivo maggiore negli adolescenti.2 Gli SSRI possono non essere efficaci nel trattamento della depressione nei pazienti con disturbi non psichiatrici cronici, quali insufficienza cardiaca o malattia renale cronica.3-5
Effetti avversi – Durante il trattamento con gli SSRI possono verificarsi irrequietezza, agitazione e disturbi del sonno, in particolare insonnia. Possono insorgere anche nausea, diarrea, cefalea, vertigini, affaticamento e disfunzione sessuale, inclusi diminuzione della libido, eccitazione sessuale alterata, orgasmo ritardato o anorgasmia.6 Gli SSRI possono causare iposodiemia, in particolare nei pazienti anziani. Questi farmaci possono aumentare il rischio di sanguinamento, inibendo la captazione della serotonina da parte delle piastrine. Con tutti gli SSRI è stato segnalato il prolungamento dell’intervallo QT; il rischio sembra essere massimo con il citalopram e l’escitalopram.7,8 In alcuni pazienti, l’uso continuativo di un SSRI provoca un sostanziale aumento di peso, in particolare durante il secondo e terzo anno di trattamento.9 Gli effetti a lungo termine di questi farmaci sulla crescita, sullo sviluppo della personalità e sul comportamento dei bambini non sono ancora stati stabiliti.
Quando gli SSRI vengono interrotti bruscamente, possono manifestarsi sintomi da sospensione, tra cui nervosismo, ansia, irritabilità, sensazioni simili all’elettroshock, attacchi di lacrimosità o pianto, vertigini, capogiri, insonnia, confusione, ridotta concentrazione, nausea e vomito; questi effetti sono più gravi con la paroxetina (Sereupin-GlaxoSmithKline e altri; disponibile anche come medicinale equivalente), forse a causa dell’emivita breve e dei potenti effetti serotoninergici, e meno probabili con la fluoxetina per via della sua lunga emivita.
Interazioni farmacologiche – Gli SSRI producono effetti eterogenei sugli isoenzimi del CYP e interagiscono con molti altri farmaci; alcune di queste interazioni sono riassunte nella Tabella 2.
SNRI – Anche gli SNRI vengono presi in considerazione come opzioni di prima linea per il trattamento del disturbo depressivo maggiore. Non è chiaro se offrano dei vantaggi in termini di efficacia rispetto agli SSRI.
Effetti avversi – Gli effetti avversi degli SNRI sono simili a quelli degli SSRI, ma possono anche comprendere eccessiva sudorazione, stipsi, tachicardia e ritenzione urinaria. Quando l’assunzione viene interrotta bruscamente, possono verificarsi sintomi da sospensione, specialmente con la venlafaxina (Efexor RP-Pfizer e altri; disponibile anche come medicinale equivalente) e la desvenlafaxina (non disponibile in commercio in Italia) a causa delle loro brevi emivite. Gli SNRI possono provocare aumenti dose-dipendenti della pressione arteriosa; il rischio è maggiore in caso di assunzione di venlafaxina a dosaggi > 150 mg/die. Nei pazienti che assumono venlafaxina o desvenlafaxina sono stati riportati risultati falsi-positivi ai test di screening urinario con tecnica immunoenzimatica per fenciclidina (PCP) e amfetamina.
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